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di 'Per quel che mi riguarda'

venerdì 5 marzo 2010

FORMIGONI UN CAPO NON FIRMATO di Gianni Barbacetto

Triste, nella settimana della moda, essere un capo non firmato. La battuta è di Giuseppe Civati, giovane leone del Pd lombardo. Ed è riferita a Roberto Formigoni, escluso (per ora) dalla competizione elettorale a causa di irregolarità nelle firme raccolte per presentare le liste. Ancor più triste dev’essere la constatazione dell’impotenza politica, del blocco d’iniziativa, dell’inefficienza organizzativa di una macchina da guerra – quella del centrodestra – che ha numeri, voti, poltrone. In Lombardia è potentissima. Comanda negli ospedali, nelle cliniche, negli assessorati, nelle province, nei comuni, negli enti pubblici. Ha una forte influenza anche su una parte dell’imprenditoria privata. Ha il 60 per cento dei consensi. Eppure non riesce a mettere insieme 3.500 firme. Formigoni si sta rendendo conto in queste ore che ha a disposizione una formidabile falange, fatta di paladini e fan, sinceri sostenitori e “clientes”: è il dispositivo politico-religioso-imprenditoriale che fa riferimento all’area Comunione e liberazione-Compagnia delle opere. Non ha però un partito. Perché il Pdl e il centrodestra in Lombardia sono più divisi e conflittuali che in qualunque altra area del paese. Qui, dove il berlusconismo è nato, il Pdl resta unito da un solo collante: l’occupazione del potere e l’obbedienza al Signore di Arcore, che in una notte può decretare la fortuna o la fine politica di chiunque, colonnello di partito o igienista dentale. Per il resto, il partito non c’è e il centrodestra è diviso. Dovevate vederli, i capetti leghisti, come si fregavano le mani quando Formigoni era insidiato dallo scandalo delle bonifiche, con i suoi assessori più fedeli, da Massimo Buscemi a Massimo Ponzoni, lambiti dall’inchiesta per i loro rapporti d’affari. Erano loro, i leghisti, i più grandi tifosi della “soluzione giudiziaria”, aspettavano con ansia un avviso di garanzia per il presidente della regione. Poi tra le schiere del Carroccio si è diffusa una speranza diversa, raccontata solo ai fedelissimi. Parte prima: “Andiamo alle elezioni Regionali, Formigoni vince. Ma non con il previsto 60 per cento: altrimenti, per com’è fatta la legge elettorale, prendiamo paradossalmente meno consiglieri. Meglio vincere, ma non stravincere. Anche a costo di fare voto disgiunto, dire a una parte del popolo leghista di votare Lega, ma non Formigoni. Anche per non farlo sentire troppo potente”. Parte seconda: “Se poi, dopo le elezioni, gli arrivasse il famoso avviso di garanzia, sarebbe perfetto: un presidente dimezzato, un’anatra zoppa, farebbe assumere un ruolo di primo piano al vicepresidente leghista. Conquisteremmo la guida di fatto della Lombardia, la regione d’elezione della Lega”. Non chiedete conferme di questa doppia speranza, nessun leghista sobrio ve le darà. Saranno anche ragionamenti un po’ svitati, ma raccontano bene il clima attorno a Formigoni. Ha amici fedeli (i “suoi” di Cl), ma alleati infidi. Anche – e forse soprattutto – dentro il suo partito. Nel Pdl non lo amano i “laici” del presidente della provincia Guido Podestà. Lo guardano con sospetto i pretoriani di Berlusconi. Ignazio La Russa lo sopporta appena. Il sindaco di Milano Letizia Moratti balla con lui, ma sta disputando un braccio di ferro durissimo sulla gestione dell’Expo. Ecco perché Formigoni, capo non firmato, è il potentissimo che si sta scoprendo incredibilmente debole.

Fonte articolo 'Il Fatto Quotidiano'

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