Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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giovedì 18 febbraio 2010
IL POTERE D’EMERGENZA di Gabriele Polo
(vignetta bandanas)
Creata per occuparsi di disastri, è diventata essa stessa un disastro. La triste parabola della Protezione civile italiana riassume in sé tanta parte della più recente storia patria. Come il continuo ritorno di un sistema affaristico - un po’ cinico e molto malandrino - cui esattamente 18 anni fa venne dato il nome di Tangentopoli.
Quando in molti si sono illusi che una «rivoluzione giudiziaria» - surrogando l’assenza di una «rivoluzione politica» - potesse liberarci da simili pratiche. E, invece, ce le ritroviamo tutte davanti e senza nemmeno più l’alibi - ipocrita, ma spesso evocato - di «dover finanziare la politica», argomento che poi finì solo col ritorcersi contro il sistema dei partiti e mandare ancora più in tilt di quanto già non fosse la rappresentanza politica. Oggi poi, quella corruzione ce la ritroviamo anche dove dovrebbe essere impronunciabile, incastrata nel cuore sventrato dell’Aquila, nutrita dal dolore altrui.
alle cronache giudiziarie emerge l’enormità del «sacco aquilano» e una clamorosa smentita alle rassicurazioni di Gianni Letta. Ma il definire degenerati i suoi protagonisti non significa che si tratti di una degenerazione. Perché chi ha riso la notte del terremoto pensando ai futuri guadagni e poi ha incassato in Abruzzo il frutto delle proprie clientele romane, ha potuto agevolmente usufruire delle «regole » emergenziali che hanno fatto della Protezione civile uno straordinario concentrato di potere. E di un demiurgo che un fronte bipartisan ha trasformato in salvatore della patria di pari passo con la possibilità di tradurre in emergenza qualunque evento, affidando a lui - e alla sua corte - la discrezionalità sul come risolverla e chi scegliere allo scopo. Quel «qualcosa che è sfuggito al controllo» di cui oggi si ammette l’esistenza è parte - non sappiamo quanto grande - di un meccanismo che funziona nello stesso modo ovunque e in ogni occasione, che in nome della rapidità impone l’opacità, che affida tutto all’illuminazione della sovrana corte di Bertolaso: dall’efficacia all’onestà.
Tutto questo è in discussione nel decreto che offre copertura istituzionale ai tanti poteri accumulati dalla Protezione civile. Obiettivo centrale per il governo, che - al solito - è pronto al voto di fiducia, perché nello svuotare il Parlamento il mezzo è anche il fine. Non conta ciò che emerge dalle inchieste in corso, non pesano le vergogne che leggiamo nelle intercettazioni telefoniche, irrilevanti le critiche della Corte dei conti. È un sistema che va affermato e imposto, per amministrare il paese oltre - e contro - le istituzioni.
Anche a costo del ridicolo, quando la retorica del soccorso fa di Bertolaso una vittima che si paragona a un alluvionato. Nell’imbuto della Protezione civile s’è perso anche il senso del limite.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
Creata per occuparsi di disastri, è diventata essa stessa un disastro. La triste parabola della Protezione civile italiana riassume in sé tanta parte della più recente storia patria. Come il continuo ritorno di un sistema affaristico - un po’ cinico e molto malandrino - cui esattamente 18 anni fa venne dato il nome di Tangentopoli.
Quando in molti si sono illusi che una «rivoluzione giudiziaria» - surrogando l’assenza di una «rivoluzione politica» - potesse liberarci da simili pratiche. E, invece, ce le ritroviamo tutte davanti e senza nemmeno più l’alibi - ipocrita, ma spesso evocato - di «dover finanziare la politica», argomento che poi finì solo col ritorcersi contro il sistema dei partiti e mandare ancora più in tilt di quanto già non fosse la rappresentanza politica. Oggi poi, quella corruzione ce la ritroviamo anche dove dovrebbe essere impronunciabile, incastrata nel cuore sventrato dell’Aquila, nutrita dal dolore altrui.
alle cronache giudiziarie emerge l’enormità del «sacco aquilano» e una clamorosa smentita alle rassicurazioni di Gianni Letta. Ma il definire degenerati i suoi protagonisti non significa che si tratti di una degenerazione. Perché chi ha riso la notte del terremoto pensando ai futuri guadagni e poi ha incassato in Abruzzo il frutto delle proprie clientele romane, ha potuto agevolmente usufruire delle «regole » emergenziali che hanno fatto della Protezione civile uno straordinario concentrato di potere. E di un demiurgo che un fronte bipartisan ha trasformato in salvatore della patria di pari passo con la possibilità di tradurre in emergenza qualunque evento, affidando a lui - e alla sua corte - la discrezionalità sul come risolverla e chi scegliere allo scopo. Quel «qualcosa che è sfuggito al controllo» di cui oggi si ammette l’esistenza è parte - non sappiamo quanto grande - di un meccanismo che funziona nello stesso modo ovunque e in ogni occasione, che in nome della rapidità impone l’opacità, che affida tutto all’illuminazione della sovrana corte di Bertolaso: dall’efficacia all’onestà.
Tutto questo è in discussione nel decreto che offre copertura istituzionale ai tanti poteri accumulati dalla Protezione civile. Obiettivo centrale per il governo, che - al solito - è pronto al voto di fiducia, perché nello svuotare il Parlamento il mezzo è anche il fine. Non conta ciò che emerge dalle inchieste in corso, non pesano le vergogne che leggiamo nelle intercettazioni telefoniche, irrilevanti le critiche della Corte dei conti. È un sistema che va affermato e imposto, per amministrare il paese oltre - e contro - le istituzioni.
Anche a costo del ridicolo, quando la retorica del soccorso fa di Bertolaso una vittima che si paragona a un alluvionato. Nell’imbuto della Protezione civile s’è perso anche il senso del limite.
Fonte articolo 'Il Manifesto'
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