
Silvio Scaglia, ex amministratore delegato di Fastweb, è innocente fino a condanna definitiva. Un uomo che con intuizioni e finanza ardita è oggi tra i quindici più ricchi d’Italia: ha un patrimonio stimato in un miliardo. Perciò c’è chi si stupisce che possa essere coinvolto in questa storiaccia. Al pari di chi non crede che l’imprenditore Berlusconi possa essere stato coinvolto in affari poco corretti. Ma una certezza l’abbiamo: evasione e costituzione di fondi neri ci sono stati e nella rete sono finiti pesci piccoli e pesci grossi, da magistrati ad alti gradi della Finanza.
Possibile che tutto questo sia stato organizzato solo dalla ’ndrangheta? Ovviamente no: per una truffa da 2 miliardi di euro servono personaggi in posizione di rilievo nelle società coinvolte, chissà se a loro volta legati alla criminalità organizzata. Se non Silvio Scaglia, certo qualcuno ai vertici di Fastweb e altre società ha smaneggiato » parecchio. Ieri Montezemolo ha ripetuto: la corruzione non è colpa della sola politica, ma i ritardi normativi della politica contribuiscono ad alimentarla. L’ex presidente di Confindustria ha ragione,ma dimentica un particolare evidenziato 18 anni fa da Mani pulite: corruzione e concussione viaggiano a braccetto e tra i protagonisti ci sono sempre gli imprenditori. Sono loro che costituiscono il grosso dei fondi neri all’estero graziati con lo scudo» Tremonti. Sono loro che evadono e mollano mazzette ai partiti. E non parliamo dei piccoli imprenditori che al massimo devono pagare per ottenere concessioni o ricevere quanto gli spetta per i lavori eseguiti. Piccoli imprenditori che, com’è successo due giorni fa a Padova, arrivano alla disperazione di uccidersi per non poter pagare i dipendenti. Questa classe politica al governo fa crescere un disagio sociale che coinvolge non più solo i lavoratori.
Il riferimento è alle grandi imprese (l’elenco di chi ha confessato a Di Pietro è sterminato). È lì che vanno cercati i grandi collusi con la politica in un rapporto quasi sadomaso: godono nel pagare tangenti, perché da quelle matura il piacere degli affari, sgorga il denaro. Una sorta di connivenza e onnipotenza. Difficile dire se Fini abbia ragione quando sostiene che fino a Tangentopoli i politici rubavano per il partito mentre oggi si ruba per se stessi. In realtà il Pci intascava tangenti per il partito, ma i suoi Greganti dicevano che rubavano per sé. Al contrario, gli uomini degli altri partiti dicevano di rubare per il partito, ma il grosso dei soldi rimaneva nelle loro tasche. Come succede ora, con la consueta correità delle imprese. Non è cambiato nulla: il vuoto della politica esalta il ruolo della magistratura.
Fonte: 'Il Manifesto'
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