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giovedì 4 febbraio 2010
Berlusconi: 'Il muro? Non l’ho visto' di Michele Giorgio
Berlusconi: «Giusta la reazione di Israele contro Gaza». Poi incontra Abu Mazen a Betlemme ma non si accorge della barriera dell’apartheid. La palestinese Hanan Ashrawi: scandaloso, prenda ripetizioni di storia
I galloni di alleato più fedele di Israele Silvio Berlusconi non se li è guadagnati ieri mattina alla Knesset,dove ha attaccato il rapporto del giudice dell’Onu Richard Goldstone che ha indagato sulla devastante offensiva israeliana «Piombo fuso» di un anno fa a Gaza in cui sono stati uccisi 1.400 palestinesi, tra i quali centinaia di civili. Non se li è guadagnati accusando la conferenza internazionale «Durban II» di voler «sanzionare Israele con intollerabili accuse di razzismo e di violenza». Quei gradi Berlusconi li ha ottenuti ieri pomeriggio a Betlemme quando, con la bandierina di Israele appuntata sul bavero della giacca, ha penosamente affermato di non aver visto il muro di cemento armato costruito dalle forze armate israeliane intorno alla città palestinese.
«Mi spiace deluderla, ma non me ne sono accorto» ha detto il presidente del consiglio rispondendo a un giornalista che, durante la conferenza stampa congiunta con il presidente dell’Anp Abu Mazen, gli ha chiesto che impressione avesse avuto vedendo e attraversando il muro di cemento mentre andava in auto da Gerusalemme a Betlemme.
«Non mene sono accorto – ha affermato - stavo rimettendo a posto le mie idee, prendendo appunti sulle cose che avrei dovuto dire al presidente incontrandolo». Vergognoso, senza pudore. Berlusconi in fondo avrebbe potuto ripetere le frasi insipide e banali che altri capi di stato e di governo, alleati di ferro di Israele, pronunciano quando fanno riferimento alla barriera di cemento armato in Cisgiordania. Frasi del tipo: «È una misura di sicurezza contro gli attentati, speriamo possa essere rimossa quando si farà la pace nella regione». Invece il capo del governo ha voluto superare tutti anche in questa occasione con dichiarazioni prive di senso. Se gli altri il muro lo giustificano, lui addirittura non lo vede. Neppure il più accanito estremista di destra israeliana ha pronunciato parole tanto gravi sul muro.
«È inconcepibile, non riesco a crederci – ha commentato Hanan Ashrawi, una delle personalità palestinesi più note – chi finge di non vedere la realtà, allora non vuole capire cosa sta accadendo in questa terra, non vuole partecipare alla ricerca di una soluzione per questo conflitto. Berlusconi deve andare a lezione di storia, politica e geografia».
Per i palestinesi è un momento davvero difficile, forse il più complesso della loro tormentata storia, dai tempi della Nakba nel 1948. E non solo per l’atteggiamento di coloro, come Silvio Berlusconi, che nel mondo lavorano per negare i loro diritti sanciti dalle risoluzioni internazionali, ma anche per l’assenza di una leadership palestinese in grado di reagire a ciò che accade con dignità, intelligenza e senso strategico.
Ieri pesava come un macigno il silenzio di Abu Mazen e del premier Salam Fayyad mentre il primo ministro italiano affermava di «non aver visto il muro» entrando a Betlemme. Sono rimasti muti, immobili. Come se avessero un bavaglio e un cappello in mano per raccogliere il «generoso contributo dell’Italia per il popolo palestinese», che, in realtà è un sostegno finanziario all’Anp affinché non crolli e continui a fare la sua parte nel «mantenimento della legge e dell’ordine» e nella «lotta al terrorismo» in Cisgiordania. Entrambi hanno ascoltato con vivo interesse il disco rotto del «piano Marshall» che Berlusconi mette sul piatto dal 1994 e che, a suo dire, dovrebbe «favorire lo sviluppo e il progresso economico della Terra Santa» e a dare «un’ulteriore spinta per far ripartire i negoziati di pace».
A Betlemme in ogni caso Berlusconi è arrivato come «messaggero» del premier israeliano Netanyahu. Se prima del suo arrivo a Gerusalemme il Cavaliere aveva chiesto a Israele di fermare la colonizzazione, ieri ha detto di aver rivolto un appello «che viene dal cuore», al presidente Abbas (Abu Mazen) affinché torni al tavolo del negoziato», quindi senza porre la condizione di uno stop totale all’espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Non solo, ma dopo aver definito alla Knesset i massacri di un anno fa a Gaza una «giusta reazione d’Israele al terrorismo», ha espresso l’auspicio che i palestinesi «mettano per sempre da parte la cultura della violenza». Come se la violenza venisse solo
dal popolo schiacciato dall’occupazione e da da decenni chiede di essere libero. Ha concesso soltanto che «come è giusto piangere le vittime della Shoah, è giusto manifestare dolore per quanto accaduto a Gaza», un anno fa.
Berlusconi ha chiuso in serata la sua visita ufficiale in Israele di tre giorni ed è ripartito per l’Italia, certo di aver conquistato definitivamente gli israeliani con la sua «carpet-diplomacy»: lui, steso come un tappetino, pronto a fare di tutto, senza fiatare, senza mai opporre la più piccola critica, pur di soddisfare tutte le politiche dell’alleato israeliano.
Ben 12 applausi hanno sottolineato la sua descrizione di Israele quale «esempio unico di democrazia in Medio Oriente», i suoi appelli alla lotta all’antisemitismo misti ad attacchi al programma nucleare iraniano, le sue espressioni di amicizia «franca, aperta e reciproca» che «non è solo vicinanza verbale, non è solo diplomazia, è un moto dell’anima e viene dal cuore». I leader israeliani lo hanno omaggiato, ringraziato in ogni modo. Netanyahu ha anche esaltato la madre del primo ministro italiano, la signora Rosa Bossi, definendola un’eroina che salvò una ragazza ebrea da un ufficiale tedesco che la stava arrestando. Il capo dello stato israeliano Shimon Peres ha definito Berlusconi «il leader più solare fra tutti quelli che ho onosciuto». Il Cavaliere lo ha ricambiato, non mancando durante il pranzo di gala nella residenza del presidente di raccontare le sue barzellette che non fanno ridere.
Articolo e vignetta tratti da 'Il Manifesto'
I galloni di alleato più fedele di Israele Silvio Berlusconi non se li è guadagnati ieri mattina alla Knesset,dove ha attaccato il rapporto del giudice dell’Onu Richard Goldstone che ha indagato sulla devastante offensiva israeliana «Piombo fuso» di un anno fa a Gaza in cui sono stati uccisi 1.400 palestinesi, tra i quali centinaia di civili. Non se li è guadagnati accusando la conferenza internazionale «Durban II» di voler «sanzionare Israele con intollerabili accuse di razzismo e di violenza». Quei gradi Berlusconi li ha ottenuti ieri pomeriggio a Betlemme quando, con la bandierina di Israele appuntata sul bavero della giacca, ha penosamente affermato di non aver visto il muro di cemento armato costruito dalle forze armate israeliane intorno alla città palestinese.
«Mi spiace deluderla, ma non me ne sono accorto» ha detto il presidente del consiglio rispondendo a un giornalista che, durante la conferenza stampa congiunta con il presidente dell’Anp Abu Mazen, gli ha chiesto che impressione avesse avuto vedendo e attraversando il muro di cemento mentre andava in auto da Gerusalemme a Betlemme.
«Non mene sono accorto – ha affermato - stavo rimettendo a posto le mie idee, prendendo appunti sulle cose che avrei dovuto dire al presidente incontrandolo». Vergognoso, senza pudore. Berlusconi in fondo avrebbe potuto ripetere le frasi insipide e banali che altri capi di stato e di governo, alleati di ferro di Israele, pronunciano quando fanno riferimento alla barriera di cemento armato in Cisgiordania. Frasi del tipo: «È una misura di sicurezza contro gli attentati, speriamo possa essere rimossa quando si farà la pace nella regione». Invece il capo del governo ha voluto superare tutti anche in questa occasione con dichiarazioni prive di senso. Se gli altri il muro lo giustificano, lui addirittura non lo vede. Neppure il più accanito estremista di destra israeliana ha pronunciato parole tanto gravi sul muro.
«È inconcepibile, non riesco a crederci – ha commentato Hanan Ashrawi, una delle personalità palestinesi più note – chi finge di non vedere la realtà, allora non vuole capire cosa sta accadendo in questa terra, non vuole partecipare alla ricerca di una soluzione per questo conflitto. Berlusconi deve andare a lezione di storia, politica e geografia».
Per i palestinesi è un momento davvero difficile, forse il più complesso della loro tormentata storia, dai tempi della Nakba nel 1948. E non solo per l’atteggiamento di coloro, come Silvio Berlusconi, che nel mondo lavorano per negare i loro diritti sanciti dalle risoluzioni internazionali, ma anche per l’assenza di una leadership palestinese in grado di reagire a ciò che accade con dignità, intelligenza e senso strategico.
Ieri pesava come un macigno il silenzio di Abu Mazen e del premier Salam Fayyad mentre il primo ministro italiano affermava di «non aver visto il muro» entrando a Betlemme. Sono rimasti muti, immobili. Come se avessero un bavaglio e un cappello in mano per raccogliere il «generoso contributo dell’Italia per il popolo palestinese», che, in realtà è un sostegno finanziario all’Anp affinché non crolli e continui a fare la sua parte nel «mantenimento della legge e dell’ordine» e nella «lotta al terrorismo» in Cisgiordania. Entrambi hanno ascoltato con vivo interesse il disco rotto del «piano Marshall» che Berlusconi mette sul piatto dal 1994 e che, a suo dire, dovrebbe «favorire lo sviluppo e il progresso economico della Terra Santa» e a dare «un’ulteriore spinta per far ripartire i negoziati di pace».
A Betlemme in ogni caso Berlusconi è arrivato come «messaggero» del premier israeliano Netanyahu. Se prima del suo arrivo a Gerusalemme il Cavaliere aveva chiesto a Israele di fermare la colonizzazione, ieri ha detto di aver rivolto un appello «che viene dal cuore», al presidente Abbas (Abu Mazen) affinché torni al tavolo del negoziato», quindi senza porre la condizione di uno stop totale all’espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Non solo, ma dopo aver definito alla Knesset i massacri di un anno fa a Gaza una «giusta reazione d’Israele al terrorismo», ha espresso l’auspicio che i palestinesi «mettano per sempre da parte la cultura della violenza». Come se la violenza venisse solo
dal popolo schiacciato dall’occupazione e da da decenni chiede di essere libero. Ha concesso soltanto che «come è giusto piangere le vittime della Shoah, è giusto manifestare dolore per quanto accaduto a Gaza», un anno fa.
Berlusconi ha chiuso in serata la sua visita ufficiale in Israele di tre giorni ed è ripartito per l’Italia, certo di aver conquistato definitivamente gli israeliani con la sua «carpet-diplomacy»: lui, steso come un tappetino, pronto a fare di tutto, senza fiatare, senza mai opporre la più piccola critica, pur di soddisfare tutte le politiche dell’alleato israeliano.
Ben 12 applausi hanno sottolineato la sua descrizione di Israele quale «esempio unico di democrazia in Medio Oriente», i suoi appelli alla lotta all’antisemitismo misti ad attacchi al programma nucleare iraniano, le sue espressioni di amicizia «franca, aperta e reciproca» che «non è solo vicinanza verbale, non è solo diplomazia, è un moto dell’anima e viene dal cuore». I leader israeliani lo hanno omaggiato, ringraziato in ogni modo. Netanyahu ha anche esaltato la madre del primo ministro italiano, la signora Rosa Bossi, definendola un’eroina che salvò una ragazza ebrea da un ufficiale tedesco che la stava arrestando. Il capo dello stato israeliano Shimon Peres ha definito Berlusconi «il leader più solare fra tutti quelli che ho onosciuto». Il Cavaliere lo ha ricambiato, non mancando durante il pranzo di gala nella residenza del presidente di raccontare le sue barzellette che non fanno ridere.
Articolo e vignetta tratti da 'Il Manifesto'
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