Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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martedì 12 gennaio 2010
RUSPE di Ida Dominijanni
Dicono che ci faranno una piazza, al posto del campo di Rognetta raso al suolo da una ruspa. Dovrebbero intitolarla all’umanità perduta. Dicono che qualcuno degli africani di Rosarno, prima di salire sull’autobus diretto a Crotone o a Bari o chissà dove, abbia lasciato scritto «We’ll be remembered, we’ll not forget» nel campo in cui viveva. Nemmeno noi dimenticheremo. La sopravvivenza sotto la soglia dell’umano in quei campi. La rabbia violenta che sola dà voce all’umano quando tutto gliela toglie. Il marchio disumano, per chi la fa prima che per chi la subisce, della caccia al negro, e poi della deportazione, e poi delle colonne in attesa di ricovero nei campi di accoglienza. E quella ruspa a siglare la fine: l’ordine è stato ristabilito.
Non è vero. Non c’è ordine dopo queste immagini. Il caso non è chiuso, la vergogna non è consumata, il territorio non è riconquistato, il debito non è saldato. Tutto invece si spalanca, quando la posta in gioco è l’umano, e tutto ci interroga. E niente, ma proprio niente, può ricominciare come prima. Farebbe bene a pensarci, il Senato della Repubblica, prima di ascoltare, oggi, il Ministro degli Interni riferire sul caso Rosarno. Perché non è solo Maroni ad aver travalicato il segno della decenza prendendo per intollerabile non le condizioni dei migranti ma la loro accoglienza. È tutta la classe politica italiana, l’opposizione in primo luogo, a giocarsi la faccia se su quelle immagini manderà a sua volta le ruspe. Ci sono le regionali, c’è il dialogo sulla giustizia, the show must go on: questo sì che sarebbe intollerabile.
Nemmeno provino, maggioranza e opposizione, ad alimentare la gara già in corso su svariate testate a chi si scopre più razzista, se il Nord leghista o - sorpresa! - il Sud pronto a diventarlo. I fatti di Rosarno, innescati dai rampolli della ndrangheta,
preceduti da una lunga prova di convivenza e circondati da esperienze esemplari di accoglienza, hanno una dinamica che poco lo consente. Provino piuttosto a pensare, se ci riescono, a questo. Mentre per vent’anni la classe politica italiana si è dilettata di questione settentrionale, facendo dell’area più ricca del paese la vittima della globalizzazione, dell’immigrazione, della società del rischio e dell’ansia, nel Sud la globalizzazione penetrava con la sua faccia più feroce, quella della nuova schiavitù e dell’illegalità criminale organizzata. Si chiama capitalismo postnazionale, attizza focolai di guerra civile globale a Rosarno come a Calais come a Dubai e nessuna ruspa viene mai mandata né a raderlo al suolo né a civilizzarlo. La ruspa che rade al suolo la Rognetta, invece, racconta una storia lunga mezzo secolo: di industrializzazione promessa e mancata, di emigrazione dolorosa ieri e di immigrazione dolorosa oggi, di territori lasciati alla speculazione, al cinismo mafioso e ai compromessi col cinismo mafioso. Ferite dell’umano, mentre lo show andava avanti.
C’è la cronaca dei fatti, e ci sono fatti che interrompono la cronaca, la sospendono, domandano un salto, segnano un prima e un dopo. Dopo Rosarno, lo show non può andare avanti come prima. Può però tragicamente precipitare, se quella ruspa, quella caccia al negro e quelle deportazioni venissero riconosciute anche per un solo momento come precedenti attendibili della via italiana all’ordine. Occorre urgentemente fare disordine. Lo sciopero degli immigrati è la prima occasione che ci attende. Non per aiutarli, ma per farci aiutare da loro a dire no.
Fonte articolo
Non è vero. Non c’è ordine dopo queste immagini. Il caso non è chiuso, la vergogna non è consumata, il territorio non è riconquistato, il debito non è saldato. Tutto invece si spalanca, quando la posta in gioco è l’umano, e tutto ci interroga. E niente, ma proprio niente, può ricominciare come prima. Farebbe bene a pensarci, il Senato della Repubblica, prima di ascoltare, oggi, il Ministro degli Interni riferire sul caso Rosarno. Perché non è solo Maroni ad aver travalicato il segno della decenza prendendo per intollerabile non le condizioni dei migranti ma la loro accoglienza. È tutta la classe politica italiana, l’opposizione in primo luogo, a giocarsi la faccia se su quelle immagini manderà a sua volta le ruspe. Ci sono le regionali, c’è il dialogo sulla giustizia, the show must go on: questo sì che sarebbe intollerabile.
Nemmeno provino, maggioranza e opposizione, ad alimentare la gara già in corso su svariate testate a chi si scopre più razzista, se il Nord leghista o - sorpresa! - il Sud pronto a diventarlo. I fatti di Rosarno, innescati dai rampolli della ndrangheta,
preceduti da una lunga prova di convivenza e circondati da esperienze esemplari di accoglienza, hanno una dinamica che poco lo consente. Provino piuttosto a pensare, se ci riescono, a questo. Mentre per vent’anni la classe politica italiana si è dilettata di questione settentrionale, facendo dell’area più ricca del paese la vittima della globalizzazione, dell’immigrazione, della società del rischio e dell’ansia, nel Sud la globalizzazione penetrava con la sua faccia più feroce, quella della nuova schiavitù e dell’illegalità criminale organizzata. Si chiama capitalismo postnazionale, attizza focolai di guerra civile globale a Rosarno come a Calais come a Dubai e nessuna ruspa viene mai mandata né a raderlo al suolo né a civilizzarlo. La ruspa che rade al suolo la Rognetta, invece, racconta una storia lunga mezzo secolo: di industrializzazione promessa e mancata, di emigrazione dolorosa ieri e di immigrazione dolorosa oggi, di territori lasciati alla speculazione, al cinismo mafioso e ai compromessi col cinismo mafioso. Ferite dell’umano, mentre lo show andava avanti.
C’è la cronaca dei fatti, e ci sono fatti che interrompono la cronaca, la sospendono, domandano un salto, segnano un prima e un dopo. Dopo Rosarno, lo show non può andare avanti come prima. Può però tragicamente precipitare, se quella ruspa, quella caccia al negro e quelle deportazioni venissero riconosciute anche per un solo momento come precedenti attendibili della via italiana all’ordine. Occorre urgentemente fare disordine. Lo sciopero degli immigrati è la prima occasione che ci attende. Non per aiutarli, ma per farci aiutare da loro a dire no.
Fonte articolo
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Cara Ros qui alla Piana del Sele c'è stata la stessa demolizione a fine estate......stessa situazione in più erano presenti Il sindaco di Eboli, e anche i sindacalisti ...ora ...questa è una questione da cui nessuno puo fuggire !!!!questione sociale che riguarda NOI !!!e il noi comprende tutti !!!
RispondiEliminaGRazie Ros
Ciao Ros, mi fa piacere riprendere con te il dialogo interrotto solo per le festivitàe lieto poi di affrontare una tematica scottante e attuale come quella descritta da Ida, cui va la mia stima e il mio apprezzamento. In un clima di confusione ognuno cavalca la propria tigre. credo dobbiamo riscoprire tutti di essere Italiani, di sapere di appartenere a una nazione seria e dignitosa, e combattere quelle sacche di peste che per anni ha dilaniato specialmente il Sud. La questione Meridionale, e io sono figlio della terra di Giustino Fortunato,non può essere solo un fatto di strategie economiche, è innanzitutto un problema culturale per il quale lo Stato con la S maiuscola e i rappresentanti di esso devono agire in prima linea, ristabilendo le regole della legalità e isolare anche gruppi politici che inneggianno al negro al negro per conquistatrsi il consenso delle proprie zone. Da parte nosra possiamo scrivere e dibattere perché qualcuno legga e rifletta per poi agire.
RispondiEliminaCon affetto
Antonio Lanza
Cara Ele, condivido il tuo pensiero, il Noi deve comprendere tutti poiché non possiamo non essere inc...ati per le immagini che abbiamo visto. La sofferenza non ha colore.
RispondiEliminaCaro Antonio concordo anche con te ma certo da questo governo non possiamo aspettarci nulla di meglio e ahinoi neanche da questa opposizione. Grazie ad entrambi