Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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lunedì 25 gennaio 2010
Haiti, diario dalla disperazione: ' Di notte stuprano le nostre figlie' di Nealine Exil Andris
Néaline Axil Andris vive nel quartiere Carrefour Feuille, una bidonville di Port-au-Prince, dove la polizia non entra. Almeno una persona su dieci è morta. “Dio ha protetto mia figlia di due anni e mio marito, ha altri progetti per noi” dice la donna. Con amici e il marito, ha seppellito tanti cadaveri. Al Caffè racconta la sua seconda settimana dalla tragedia, nei suoi occhi c’è speranza e la determinazione di chi vuole cambiare un destino infernale.
Lunedì, 18 gennaio
“Abbiamo tentato, ma invano, di contattare una radio locale per dire che siamo vivi. Che esistiamo. Nessuno ci ha ascoltati. Dal giorno del terremoto siamo abbandonati a noi stessi. L’unica eccezione è stato un magistrato della zona, una sera ha preparato un pasto per chi era rimasto. La nostra piccola associazione di volontari ha potuto così distribuire riso e piselli, due cucchiai a persona. Per dormire ci sdraiamo in strada, nei cortili, è così da una settimana, le case che rimangono in piedi, sono tutte lesionate. Non ci fidiamo.
Martedì, 19 gennaio
“Alle sei del mattino, la terra ha di nuovo tremato. Ho pensato, è la fine, moriremo tutti. Ma poi, per fortuna, abbiamo contato solo sei morti. Ci siamo riuniti, abbiamo pregato e cantato per ringraziare Dio: sono trascorsi sette giorni dalla tragedia e ci siamo ancora. È solo Lui che permette al cuore di Haiti di battere ancora, anche se debolmente. Poi come ogni giorno c’è la ricerca dell’acqua, bisogna scendere in città, dista parecchi chilometri, e fermare un camion della Camep (Centrale di distribuzione acqua potabile, ndr.). Si riempie i recipienti e si torna. A volte a mani vuote”.
Mercoledì, 20 gennaio
“La notte è dura. Più del giorno. A volte preghiamo senza interruzione: è più importante che dormire e ci permette di sorvegliare e proteggere i nostri figli. Questo quartiere è pericoloso. Il terremoto ha distrutto il carcere di Port-au-Prince liberando diversi delinquenti, ora circolano indisturbati, le gang si affrontano, soprattutto nella nostra zona dove la polizia non esiste. Diverse ragazze sono state violentate. Capita spesso. Dobbiamo proteggere i nostri figli dai “lupi mannari”. Sono tanti, sono malefici quelli di Haiti. I nostri figli sono fragili. Ho molta paura per la mia piccola”.
Giovedì, 21 gennaio
“Sono andata a incontrare alcune delle ragazze stuprate, per sostenerle. Da sempre offro la mia energia agli altri, e spesso le persone con me si aprono. Volevo portare del tè, ma non ci sono riuscita. L’acqua non basta e anche le foglie non erano sufficienti per tutti. Ci riproverò un altro giorno”.
Venerdì, 22 gennaio
“Dobbiamo assolutamente far sapere che siamo vivi. Abbiamo scritto una lettera, la vogliamo portare al direttore della radio, forse ci lasceranno passare. Altrimenti altri bambini moriranno. Non abbiamo più riserve. Non abbiamo più soldi. Tutto è distrutto. Intanto i prezzi aumentano. Il prezzo dell’acqua è più che raddoppiato”.
(testo raccolto per il Caffe da Patrick Oberli, vice direttore Hebdo)
Fonte articolo
Lunedì, 18 gennaio
“Abbiamo tentato, ma invano, di contattare una radio locale per dire che siamo vivi. Che esistiamo. Nessuno ci ha ascoltati. Dal giorno del terremoto siamo abbandonati a noi stessi. L’unica eccezione è stato un magistrato della zona, una sera ha preparato un pasto per chi era rimasto. La nostra piccola associazione di volontari ha potuto così distribuire riso e piselli, due cucchiai a persona. Per dormire ci sdraiamo in strada, nei cortili, è così da una settimana, le case che rimangono in piedi, sono tutte lesionate. Non ci fidiamo.
Martedì, 19 gennaio
“Alle sei del mattino, la terra ha di nuovo tremato. Ho pensato, è la fine, moriremo tutti. Ma poi, per fortuna, abbiamo contato solo sei morti. Ci siamo riuniti, abbiamo pregato e cantato per ringraziare Dio: sono trascorsi sette giorni dalla tragedia e ci siamo ancora. È solo Lui che permette al cuore di Haiti di battere ancora, anche se debolmente. Poi come ogni giorno c’è la ricerca dell’acqua, bisogna scendere in città, dista parecchi chilometri, e fermare un camion della Camep (Centrale di distribuzione acqua potabile, ndr.). Si riempie i recipienti e si torna. A volte a mani vuote”.
Mercoledì, 20 gennaio
“La notte è dura. Più del giorno. A volte preghiamo senza interruzione: è più importante che dormire e ci permette di sorvegliare e proteggere i nostri figli. Questo quartiere è pericoloso. Il terremoto ha distrutto il carcere di Port-au-Prince liberando diversi delinquenti, ora circolano indisturbati, le gang si affrontano, soprattutto nella nostra zona dove la polizia non esiste. Diverse ragazze sono state violentate. Capita spesso. Dobbiamo proteggere i nostri figli dai “lupi mannari”. Sono tanti, sono malefici quelli di Haiti. I nostri figli sono fragili. Ho molta paura per la mia piccola”.
Giovedì, 21 gennaio
“Sono andata a incontrare alcune delle ragazze stuprate, per sostenerle. Da sempre offro la mia energia agli altri, e spesso le persone con me si aprono. Volevo portare del tè, ma non ci sono riuscita. L’acqua non basta e anche le foglie non erano sufficienti per tutti. Ci riproverò un altro giorno”.
Venerdì, 22 gennaio
“Dobbiamo assolutamente far sapere che siamo vivi. Abbiamo scritto una lettera, la vogliamo portare al direttore della radio, forse ci lasceranno passare. Altrimenti altri bambini moriranno. Non abbiamo più riserve. Non abbiamo più soldi. Tutto è distrutto. Intanto i prezzi aumentano. Il prezzo dell’acqua è più che raddoppiato”.
(testo raccolto per il Caffe da Patrick Oberli, vice direttore Hebdo)
Fonte articolo
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