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di 'Per quel che mi riguarda'

mercoledì 20 gennaio 2010

Craxi: BEATIFICAZIONE DELLA «VITTIMA SACRIFICALE» di Ida Dominijanni

Dieci anni dopo la morte di Bettino Craxi, la «nuova destra» italiana nata dalle ceneri del craxismo ne incassa pienamente la rivalutazione e se ne ascrive largamente l’eredità. Questo è, in sintesi, il bilancio di un decennale accuratamente preparato dall’offensiva mediaticadella Fondazione intitolata al leader socialista e del Tg1 di Minzolini, e coronato ieri dal convegno organizzato dalla stessa Fondazione e ospitato con solenne ufficialità dalla Biblioteca del Senato. E’ un bilancio che restituisce, nella sua paradossalità, la curva paradossale della transizione italiana. E al quale l’intervento del Presidente della Repubblica aggiunge il crisma di una ufficialità condivisa che altrimenti non avrebbe avuto, e che lungi dal chiudere riapre il capitolo di una riconsiderazione storica e politica della "modernizzazione" craxiana e dei suoi effetti culturali, politici e sociali sulla democrazia italiana.
Scivola liscissima, dopo la lettera di Napolitano a Anna Craxi, la commemorazione in Senato. In primo luogo perché la doppietta del capo dello Stato - Craxi politico soggetto di una «impronta non cancellabile» sul terreno delle riforme e della politica estera, Craxi corrotto oggetto di una «durezza senza eguali» - concede più di quanto basta per esentare Silvio Berlusconi dal metterci il suo carico da undici: il premier può dormire sonni tranquilli e infatti quasi sonnecchia mentre assiste silenzioso alla prima tavola rotonda (poi se ne va) rinunciando all’intervento che la presidenza gli sollecita. Sta ai suoi raccogliere la palla di Napolitano per trasformare il suo invito a un «bilancio non acritico ma sereno» in una agiografia di parte, e la sua valutazione del craxismo come «complesso intreccio di luci e ombre»-più luci che ombre - in una solarità piena. Dalla «durezza senza eguali» si precipita così in picchiata, nelle parole del presidente del Senato Schifani, alla figura della «vittima sacrificale» di Tangentopoli, oggetto di una «aggressione non solo morale» e abbandonata al suo destino da «un ceto politico intimorito ed esausto». E dall’«impronta non cancellabile» si passa all’apoteosi del decisionismo, («era un uomo che sapeva decidere e così ridiede autorevolezza a Palazzo Chigi»), della "rottura del consociativismo" (col decreto di San Valentino sulla scala mobile), della politica estera («che tutt’ora segna la nostra, come ha dimostrato il G8 dell’Aquila»), e soprattutto del disegno sulla Grande Riforma istituzionale che attende di essere portata a compimento nella stagione che si apre.
Il gioco è fatto, l’asse ereditario fra Craxi e Berlusconi è geometricamente definito. Stefania Craxi, la regista della giornata che più esplicitamente ha rivendicato quest’asse nelle settimane scorse, può dichiararsi «pienamente soddisfatta» e aggiungerci del suo: non si tratta solo di partorire finalmente le agognate riforme, ma di acquisire che suo padre «appartiene a pieno titolo alla storia positiva dell’Italia repubblicana», e che di questa storia positiva fa parte il cambiamento da lui impresso «alla cultura del Paese, opponendo la tradizione riformista liberale all’egemonia del marxismo comunista che aveva occupato le università, sedotto gli intellettuali, contagiato perfino frange del mondo cattolico». Un Craxi disinfettante, e non basta: il resto ce lo mette il ministro Brunetta, quando commemora la notte del decreto di San Valentino che «salvò l’Italia al disastro economico e dal declino» emeritoriamente «spaccò il sindacato, da una parte quello conservatore e dall’altra quello riformista». E poi ancora il ministro Sacconi, che comincia e conclude il suo intervento - un programma di lavoro della Fondazione Craxi che è una piattaforma politica - con due perle, la prima sui «peggiori anni della nostra vita» che non sono gli 80 bensì i ’70, la seconda sugli «ex comunisti, una categoria che prima o poi riconosce i suoi errori: dipende da quanti morti ci sono stati nel frattempo».
Ecco, la «pacificazione nazionale» di cui Stefania Craxi ringrazia Giorgio Napolitano comincia così, alla presenza di Filippo Penati e di Anna Finocchiaro (solo mentre parla Schifani) in rappresentanza del Pd. La costruzione dell’asse ereditario fra Craxi e Berlusconi - sul riscatto della politica dalle grinfie della giustizia, sulla riforma costituzionale, sulla politica antioperaia, sul fantasma del comunismo e dell’anticomunismo - travolge tutti gli spunti più meritevoli di interesse che la mattinata pure offrirebbe: sulla collocazione dell’Italia nello scacchiere internazionale della Guerra Fredda ieri e nel mondo globale oggi (Gianni De Michelis e Franco Frattini), sulla sociologia dei «meriti e bisogni» impostata alla Conferenza di Rimini dell’82 e sui suoi esiti individualistici e competitivi ieri e oggi, sull’impronta, quella sì incancellabile, del leader socialista nella rottura dei rapporti a sinistra. Dieci anni dopo, la parola «sinistra» è definitivamente scomparsa dal lessico craxiano. E l’alleanza di ferro con la Dc non la nomina più nessuno: Craxi giganteggia da solo.
Non che tutti gli eredi, quelli naturali, siano soddisfatti. Bobo Craxi non prende le distanze ufficialmente, ma è consapevole che l’asse con Berlusconi finisce col danneggiare la memoria del padre, sovrapponendo «una modernizzazione cialtrona» a quella vagheggiata negli anni 80. Scollinato il decennale, reso dal Quirinale al Craxi imputato e condannato il riconoscimento di aver funzionato da capro espiatorio di un sistema pronto ad autoassolversi, la storia del Craxi politico resta da fare. Non potrà essere fatta solo da chi, nel Pd, vuole vederci oggi la felice anticipazione di un riformismo da prendere a modello. E tanto meno da chi, nel movimento viola, organizza repliche malinconiche del già tristissimo lancio delle monetine davanti al Raphael di diciassette anni fa.

(l'articolo e la vignetta sono tratte da 'Il Manifesto')

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