Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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martedì 1 dicembre 2009
SVIZZERA ·Choc per il doppio voto a sorpresa: 'L’Islam fa paura, i petrodollari e le armi no' di Gianfranco Helbling
Sei svizzeri su dieci (57%) hanno detto di sì al divieto di costruire nuovi minareti. Il risultato, inatteso sia nelle proporzioni che nella sostanza, ha prodotto un vero e proprio shock sulla classe politica di un paese che, per combattere l'iniziativa popolare lanciata dall'ultradestra populista dell'Udc, ha fatto troppo affidamento sul livello di civiltà dimostrato in passato dall'elettorato svizzero. Ha vinto il sì perché i sostenitori dell'iniziativa hanno saputo mobilitarsi in massa, mentre il fronte del no ha sottovalutato la posta in gioco e le irrazionali paure diffuse fra la popolazione. Complici, dei sondaggi sballati, se non su un punto centrale: all'avvicinarsi del voto il fronte del sì appariva in ripresa, fatto anomalo che indicava quanto la campagna per la proibizione dei minareti, fatta tutta di paure e pregiudizi, stesse facendo presa sull'elettorato.
L'iniziativa è stata approvata in tutti i 26 cantoni a eccezione di Ginevra, Vaud e Neuchâtel, cantoni francofoni per tradizione più aperti. La Neue Zürcher Zeitung ha pubblicato un'interessante mappa della Svizzera suddivisa per distretti, colorati a seconda della percentuale di sì. È una mappa della paura: nelle regioni più urbane, dove maggiore è la presenza di musulmani,dunque la conoscenza reciproca, hanno prevalso in o al divieto,oppure il voto è stato più tirato. La più alta percentuale di no alla proibizione di costruire nuovi minareti l'hanno fatta registrare le città di Losanna e Zurigo, e per il no si sono anche espresse Ginevra, Friburgo, Neuchâtel, Berna e Basilea.
Il sì ha invece avuto la meglio in tutto il resto del paese, in particolare nelle regioni periferiche e rurali. Al canton Appenzello Interno il record di sì al divieto, con il 71,5%: lì vivono appena 500 dei 350 mila musulmani residenti in Svizzera. Il Ticino, com'era facile prevedere, è stato uno dei fautori più convinti (68% di sì) del divieto di costruire minareti. Nella media cantonale il voto nella città di Lugano,roccaforte della Lega dei Ticinesi. Il giorno dopo il voto è, se possibile, ancora più umiliante, con la Svizzera che incassa i complimenti, fra gli altri, di Mario Borghezio. La destra populista non s’accontenta e annuncia: «Lanceremo un'iniziativa popolare per la proibizione del burqa. E si dovrà fare in modo che il numero di musulmani non cresca ulteriormente: siamo al limite, dobbiamo impedire un'islamizzazione della nostra società».
Sull'altro fronte il disorientamento è generale. Ci si consola dicendo che se si fosse votato in qualsiasi altro paese europeo il risultato non sarebbe stato molto diverso. E si confida nel fatto che il divieto alla costruzione di minareti sarà facilmente spazzato via da un ricorso alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.
Probabilmente è vero, ma in un paese diffidente e refrattario verso le istituzioni sovranazionali il rimedio rischia di essere peggiore del male, esacerbando ulteriormente le paure di islamofobi e isolazionisti.
Qualche esponente delle comunità musulmane locali avanza una timida autocritica: «Siamo stati troppo discreti finora, abbiamo partecipato troppo poco alla vita pubblica del paese, non ci siamo fatti conscere abbastanza». C'è chi preconizza la
nascita di un partito islamico. «Lanceremo un'iniziativa per proibirlo», dicono i vincitori di oggi, annunciando che si attiveranno anche per rimettere un richiamo alle radici cristiane del paese nelle Costituzioni dei cantoni che ne sono prive.
L'elettorato svizzero teme dunque la minaccia islamica ma accetta più che volentieri i petrodollari incamerati dalle banche di Ginevra. E soprattutto è d'accordo che si continui ad esportare armi a paesi quali l'Iran, il Pakistan e l'Arabia Saudita. Domenica, infatti, è stata respinta alle urne un'altra iniziativa, questa volta lanciata dal Gruppo per una Svizzera senza esercito (Gsse), che chiedeva la proibizione di esportare armi e altri strumenti di guerra, dando dieci anni di tempo alle industrie interessate per attuare una riconversione verso una produzione civile.
Sostenuta dalla sinistra e dai sindacati e avversata da centro, destra e ambienti padronali, l'iniziativa del Gsse è stata spazzata via con il 68% di no. Oltre il tradizionale elettorato socialista e verde l'iniziativa non ha saputo raccogliere consensi. Già oggi l'esportazione di materiale bellico è proibita verso paesi in guerra, ma troppi sono i modi per aggirare il divieto. L'importanza economica dell'industria degli armamenti è di fatto trascurabile. Ma il padronato ha giocato sulla paura: «Per l'occupazione del settore industriale, già in pesante crisi a causa della recessione, sarebbe un colpo durissimo ». E ancora una volta la paura ha vinto.
Fonte articolo
L'iniziativa è stata approvata in tutti i 26 cantoni a eccezione di Ginevra, Vaud e Neuchâtel, cantoni francofoni per tradizione più aperti. La Neue Zürcher Zeitung ha pubblicato un'interessante mappa della Svizzera suddivisa per distretti, colorati a seconda della percentuale di sì. È una mappa della paura: nelle regioni più urbane, dove maggiore è la presenza di musulmani,dunque la conoscenza reciproca, hanno prevalso in o al divieto,oppure il voto è stato più tirato. La più alta percentuale di no alla proibizione di costruire nuovi minareti l'hanno fatta registrare le città di Losanna e Zurigo, e per il no si sono anche espresse Ginevra, Friburgo, Neuchâtel, Berna e Basilea.
Il sì ha invece avuto la meglio in tutto il resto del paese, in particolare nelle regioni periferiche e rurali. Al canton Appenzello Interno il record di sì al divieto, con il 71,5%: lì vivono appena 500 dei 350 mila musulmani residenti in Svizzera. Il Ticino, com'era facile prevedere, è stato uno dei fautori più convinti (68% di sì) del divieto di costruire minareti. Nella media cantonale il voto nella città di Lugano,roccaforte della Lega dei Ticinesi. Il giorno dopo il voto è, se possibile, ancora più umiliante, con la Svizzera che incassa i complimenti, fra gli altri, di Mario Borghezio. La destra populista non s’accontenta e annuncia: «Lanceremo un'iniziativa popolare per la proibizione del burqa. E si dovrà fare in modo che il numero di musulmani non cresca ulteriormente: siamo al limite, dobbiamo impedire un'islamizzazione della nostra società».
Sull'altro fronte il disorientamento è generale. Ci si consola dicendo che se si fosse votato in qualsiasi altro paese europeo il risultato non sarebbe stato molto diverso. E si confida nel fatto che il divieto alla costruzione di minareti sarà facilmente spazzato via da un ricorso alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.
Probabilmente è vero, ma in un paese diffidente e refrattario verso le istituzioni sovranazionali il rimedio rischia di essere peggiore del male, esacerbando ulteriormente le paure di islamofobi e isolazionisti.
Qualche esponente delle comunità musulmane locali avanza una timida autocritica: «Siamo stati troppo discreti finora, abbiamo partecipato troppo poco alla vita pubblica del paese, non ci siamo fatti conscere abbastanza». C'è chi preconizza la
nascita di un partito islamico. «Lanceremo un'iniziativa per proibirlo», dicono i vincitori di oggi, annunciando che si attiveranno anche per rimettere un richiamo alle radici cristiane del paese nelle Costituzioni dei cantoni che ne sono prive.
L'elettorato svizzero teme dunque la minaccia islamica ma accetta più che volentieri i petrodollari incamerati dalle banche di Ginevra. E soprattutto è d'accordo che si continui ad esportare armi a paesi quali l'Iran, il Pakistan e l'Arabia Saudita. Domenica, infatti, è stata respinta alle urne un'altra iniziativa, questa volta lanciata dal Gruppo per una Svizzera senza esercito (Gsse), che chiedeva la proibizione di esportare armi e altri strumenti di guerra, dando dieci anni di tempo alle industrie interessate per attuare una riconversione verso una produzione civile.
Sostenuta dalla sinistra e dai sindacati e avversata da centro, destra e ambienti padronali, l'iniziativa del Gsse è stata spazzata via con il 68% di no. Oltre il tradizionale elettorato socialista e verde l'iniziativa non ha saputo raccogliere consensi. Già oggi l'esportazione di materiale bellico è proibita verso paesi in guerra, ma troppi sono i modi per aggirare il divieto. L'importanza economica dell'industria degli armamenti è di fatto trascurabile. Ma il padronato ha giocato sulla paura: «Per l'occupazione del settore industriale, già in pesante crisi a causa della recessione, sarebbe un colpo durissimo ». E ancora una volta la paura ha vinto.
Fonte articolo
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