Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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martedì 29 dicembre 2009
Obama, speranza iraniana di Furio Colombo
Tutto quello che so dell’ Iran contemporaneo prima della rivolta di questi mesi lo so dai radicali.
Intendo il partito, i colleghi parlamentari radicali eletti nelle liste del PD. Lo devo all’ aiuto che ricevo da loro mentre presiedo, nella Commissione esteri della Camera, il Comitato per la difesa dei diritti umani. Sono stati questi miei colleghi i primi e i soli a portare in Aula ribelli, resistenti, disperati che venivano a dire “non siamo terroristi. Il pericolo è il clero. Il pericolo è Ahmadinejad”.
Adesso è rivolta. Eppure non si può dire una delle solite frasi tipo “il popolo ha preso le armi”, quel che si sa, quel che si vede è un percorso diverso. Il popolo, una parte del popolo, moltissimi giovani, che rappresentano la vita e la cittadinanza da persone libere, si è messa in mezzo. Tra un potere improbabile e il Paese umiliato.
Gente viva e coraggiosa ma tuttora non violenta sta inceppando la macchina di violenza, oscurantismo, ossessioni inchiodate nel passato, l’ uso della potenza militare come strumento di oppressione dentro e di aggressioni fuori. L’ ostacolo umano sta diventando grande nonostante la forza senza scrupoli del dominatore religioso e politico. Se c’è una somiglianza, un’unica somiglianza, è con la Cina giovane di Tienanmen. Se c’è una differenza, e lo sapremo, d’ ora in poi, ora per ora, giorno per giorno, è nella vastità della partecipazione, nel livello culturale e professionale, di interi blocchi di popolazione. Nella straordinaria qualità organizzativa, nel lungo e quasi invisibile filo mediatico del ritrovarsi e battersi insieme, del coraggio personale che – proprio come in Cina ma per la prima volta nel resto del mondo- non ha niente di militare o marziale, niente di guerresco. È una forma nuova di mobilitazione che sta spezzando a uno a uno tutti i contenitori in cui era insediato e messo e al sicuro il potere.
Qualcosa si sa, qualcosa si intuisce, qualcosa si deduce. E siamo, ovviamente (ricordare di nuovo Tienanmen) esposti al rischio di troppa speranza.
Prima viene il clamoroso broglio elettorale. Ha sempre funzionato nei Paesi liberticidi, governati da falsi vincitori come Ahmadinejad. I voti che mancano si comprano in repressione, arresti, torture, processi farsa, condanne, spreco di vite umane.
Ma è già accaduto qualcosa. L’ autoproclamato Presidente ha ancora in mano le più odiose e le più pericolose leve del potere, la polizia visibile e la polizia segreta. Militanti di partito e bande armate. Quelle leve vengono manovrate continuamente e senza scrupoli. Ma, a quanto pare, ci sono troppi corpi umani in mezzo. Sono i corpi -ostacolo di uomini e donne giovani (moltissime donne) che non fanno i giovani, fanno i cittadini, non rompono ma moltiplicano tutti i legami possibili con un mondo adulto, laico, professionale, di insegnanti, di padri, di intellettuali e maestri che agiscono al loro livello, nell’ ambito di altri rapporti che continuano a mantenere col resto del mondo.
Strano, ma i religiosi non sono estranei, e non lo è la religione. Un pretesto grandioso sono stati i funerali dell’ayatollah Montazeri. Montazeri aveva già spezzato il legame. Da vivo era stato isolato. Non da morto. Il suo corpo, venerato da troppi è un ostacolo imprevisto contro cui si impigliano le leve di oppressione che il Presidente usurpatore tenta freneticamente di manovrare. La cittadella sacra di Qom sembra spezzata. Il furore finto religioso di Ahmadinejad non è più il collante , lui non è più l’ emissario. È un potere spietato con cui una parte dei religiosi si riconosce, una parte no.
È chiaro che la stessa cosa è accaduta per la borghesia iraniana e per tutto ciò che è (che era? ) classe dirigente di quel Paese, e per strati intellettuali, la parte più viva ma anche più umiliata dell’ Iran contemporaneo.
È per questo che mi sembra utile descrivere ciò che accade come rivolta civile. Perché vi partecipano classi e livelli molto diversi di cittadini. Perché, nonostante gli scontri fisici, ciò che sta accadendo è più vicino alla nonviolenza che alla violenza, ha la grandezza di un movimento di popolo, ma con richiami alle libertà e ai diritti civili, non al rigore altrettanto spietato di ideologie che si scontrano.
C’è una prima causa immediata per tutto ciò? C’è una conseguenza che può durare? La causa, mi sento di dire, è il più misterioso e insolito evento che finora sia accaduto nel mondo contemporaneo. È la comparsa, al vertice di un potere del mondo, di Barack Obama.
Senza la sua elezione niente sarebbe accaduto. Obama non incita e non trama. È il testimone ben visibile di un mondo diverso.
L’ esito è nelle forze e risorse e passione di chi partecipa a questa grande rivolta civile.
Potranno esserci ancora brutti e oscuri momenti di vendetta. Eppure molto ti dice che le ragazze e i ragazzi iraniani e i loro padri, insegnanti, famiglie che non rinunciano e i religiosi rimasti indenni dalla follia del potere saranno i più forti. A meno che sia solo speranza.
Fonte articolo
Intendo il partito, i colleghi parlamentari radicali eletti nelle liste del PD. Lo devo all’ aiuto che ricevo da loro mentre presiedo, nella Commissione esteri della Camera, il Comitato per la difesa dei diritti umani. Sono stati questi miei colleghi i primi e i soli a portare in Aula ribelli, resistenti, disperati che venivano a dire “non siamo terroristi. Il pericolo è il clero. Il pericolo è Ahmadinejad”.
Adesso è rivolta. Eppure non si può dire una delle solite frasi tipo “il popolo ha preso le armi”, quel che si sa, quel che si vede è un percorso diverso. Il popolo, una parte del popolo, moltissimi giovani, che rappresentano la vita e la cittadinanza da persone libere, si è messa in mezzo. Tra un potere improbabile e il Paese umiliato.
Gente viva e coraggiosa ma tuttora non violenta sta inceppando la macchina di violenza, oscurantismo, ossessioni inchiodate nel passato, l’ uso della potenza militare come strumento di oppressione dentro e di aggressioni fuori. L’ ostacolo umano sta diventando grande nonostante la forza senza scrupoli del dominatore religioso e politico. Se c’è una somiglianza, un’unica somiglianza, è con la Cina giovane di Tienanmen. Se c’è una differenza, e lo sapremo, d’ ora in poi, ora per ora, giorno per giorno, è nella vastità della partecipazione, nel livello culturale e professionale, di interi blocchi di popolazione. Nella straordinaria qualità organizzativa, nel lungo e quasi invisibile filo mediatico del ritrovarsi e battersi insieme, del coraggio personale che – proprio come in Cina ma per la prima volta nel resto del mondo- non ha niente di militare o marziale, niente di guerresco. È una forma nuova di mobilitazione che sta spezzando a uno a uno tutti i contenitori in cui era insediato e messo e al sicuro il potere.
Qualcosa si sa, qualcosa si intuisce, qualcosa si deduce. E siamo, ovviamente (ricordare di nuovo Tienanmen) esposti al rischio di troppa speranza.
Prima viene il clamoroso broglio elettorale. Ha sempre funzionato nei Paesi liberticidi, governati da falsi vincitori come Ahmadinejad. I voti che mancano si comprano in repressione, arresti, torture, processi farsa, condanne, spreco di vite umane.
Ma è già accaduto qualcosa. L’ autoproclamato Presidente ha ancora in mano le più odiose e le più pericolose leve del potere, la polizia visibile e la polizia segreta. Militanti di partito e bande armate. Quelle leve vengono manovrate continuamente e senza scrupoli. Ma, a quanto pare, ci sono troppi corpi umani in mezzo. Sono i corpi -ostacolo di uomini e donne giovani (moltissime donne) che non fanno i giovani, fanno i cittadini, non rompono ma moltiplicano tutti i legami possibili con un mondo adulto, laico, professionale, di insegnanti, di padri, di intellettuali e maestri che agiscono al loro livello, nell’ ambito di altri rapporti che continuano a mantenere col resto del mondo.
Strano, ma i religiosi non sono estranei, e non lo è la religione. Un pretesto grandioso sono stati i funerali dell’ayatollah Montazeri. Montazeri aveva già spezzato il legame. Da vivo era stato isolato. Non da morto. Il suo corpo, venerato da troppi è un ostacolo imprevisto contro cui si impigliano le leve di oppressione che il Presidente usurpatore tenta freneticamente di manovrare. La cittadella sacra di Qom sembra spezzata. Il furore finto religioso di Ahmadinejad non è più il collante , lui non è più l’ emissario. È un potere spietato con cui una parte dei religiosi si riconosce, una parte no.
È chiaro che la stessa cosa è accaduta per la borghesia iraniana e per tutto ciò che è (che era? ) classe dirigente di quel Paese, e per strati intellettuali, la parte più viva ma anche più umiliata dell’ Iran contemporaneo.
È per questo che mi sembra utile descrivere ciò che accade come rivolta civile. Perché vi partecipano classi e livelli molto diversi di cittadini. Perché, nonostante gli scontri fisici, ciò che sta accadendo è più vicino alla nonviolenza che alla violenza, ha la grandezza di un movimento di popolo, ma con richiami alle libertà e ai diritti civili, non al rigore altrettanto spietato di ideologie che si scontrano.
C’è una prima causa immediata per tutto ciò? C’è una conseguenza che può durare? La causa, mi sento di dire, è il più misterioso e insolito evento che finora sia accaduto nel mondo contemporaneo. È la comparsa, al vertice di un potere del mondo, di Barack Obama.
Senza la sua elezione niente sarebbe accaduto. Obama non incita e non trama. È il testimone ben visibile di un mondo diverso.
L’ esito è nelle forze e risorse e passione di chi partecipa a questa grande rivolta civile.
Potranno esserci ancora brutti e oscuri momenti di vendetta. Eppure molto ti dice che le ragazze e i ragazzi iraniani e i loro padri, insegnanti, famiglie che non rinunciano e i religiosi rimasti indenni dalla follia del potere saranno i più forti. A meno che sia solo speranza.
Fonte articolo
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