
Per Angeletti segretario della Uil, la decisione di Tremonti è la conferma della bontà della battaglia fatta due anni fa dal suo sindacato per obbligare tutti i lavoratori a versare il Tfr ai fondi di previdenza integrativa. Per noi è la conferma di un errore gigantesco, con il governo Prodi complice. E le imprese non ne hanno
tratto alcun beneficio in termini di risorse aggiuntive da destinare allo sviluppo e alla crescita dell’occupazione.
Certo, anche le imprese non erano solite monetizzare il Tfr, ma lo investivano utilizzando i soldi dei lavoratori per acquistare macchine, edifici, scorte. Se anche lo stato lo facesse, nessuno avrebbe da ridire. In altre parole se il Tfr accumulato (oltre 3 miliardi di euro versati da 3 milioni di lavoratori) finisse in asili nido, in energie rinnovabili, in sicurezza ambientale e in case per i lavoratori probabilmente nessuno avrebbe da ridire. Ma la sottrazione del tesoretto del Tfr assomiglia tanto a una rapina, nonostante le rassicurazioni - banali e scontate, di qualche ministro, tipo Sacconi - che i lavoratori non perderanno il loro Tfr. Però l’idea «geniale», da ennesimo colpo di finanza creativa di Giulio Tremonti un merito lo ha: ha messo in evidenza che tutto il sistema economico si regge sul lavoro dipendente e che gli altri «fattori produttivi» altro non sono che lavoro «morto», del quale altri si sono appropriati.
La situazione è complicata, ma la finanziaria per il 2010 non la semplifica. E soprattutto non fa nulla per il lavoro, salvo piccole elemosine per chi il lavoro lo ha perso. Ieri Guglielmo Epifani, per dimostrare quello che non fa questa finanziaria, ha chiesto perché non vengano destinati per i Tremonti bond allo sviluppo i fondi non utilizzati dalle banche. Un’idea semplice, ma efficace. Basterebbe che altri soggetti economici privati emettano bond che dovrebbe sottoscrivere il tesoro specificando a quali fini viene destinato il ricavato. Così le persone saprebbero cosa finanziano. Lo stesso potrebbe essere fatto con il Tfr che diventerebbe una sorta di «tassa di scopo» pagata dai lavoratori per investimenti che sono loro a decidere e soggetti, anche privati, a realizzare, ma con milioni di occhi puntati addosso a controllare che i soldi siano spesi beni.
Questa finanziaria sta scontentando proprio tutti: gli enti locali, comuni in testa, stanno per portare in piazza la loro protesta a dimostrazione che il federalismo fiscale è una balla gigantesca.
Tra due giorni, invece, il mondo della formazione sarà in piazza: contro la fuga di cervelli all’estero e contro una politica che vuol far diventare efficiente la scuola regalando soldi agli istituti privati.
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