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di 'Per quel che mi riguarda'

martedì 17 novembre 2009

FAME E BRIOCHES di Maurizio Chierici

(vignetta tratta da 'il Fatto Quotidiano)
La concretezza delle assemblee Fao, G8, G20, ammazziamo il clima a Copenaghen, l’agricoltura la sistemiamo a Seattle e ci troviamo a Nairobi per capire se l’Africa resta com’è, sono teatrini della forma che escludono la sostanza. Presidenti e ministri di cento paesi chiacchierano a Roma per decidere ciò che è già stato deciso da esperti accapigliati da mesi nel limare documenti di compromesso per salvare le foreste ma non danneggiare gli affari; “riconoscere il prezzo dovuto alle materie prime” senza toccare le tasche dei satrapi che fino a ieri potevano e adesso non possono. La crisi fa piangere anche le capitali delle diete. Se qualcosa cambia dopo appelli strappalacrime e bei discorsi romani, il passo sarà da lumaca: 2020, troppo presto. 2050, più ragionevole. Intanto ogni 6 secondi un bambino muore di fame e dall’ultimo Vertice “costruttivo” della Fao, cento milioni e 200 mila pance vuote in più. Devono avere pazienza: appena il mercato tira il fiato qualcosa arriverà nei loro piatti. Eppure basta controllare cerimonie, cene d’ambasciata, alberghi affollati, prime colazioni e lo shopping di delegazioni mai così numerose; basta fare quattro conti per capire che con i milioni dilapidati nella messa cantata Fao è possibile salvare una generazione di bambini rubati dalla malaria. Una zanzariera e le aspirine costano meno di 3 dollari. Dove trovarli? Lamento dei governi che fabbricano e comprano armi. A dire il vero hanno snobbato forse per vergogna l’appuntamento romano lasciando a mogli e consiglieri la declamazione dei discorsi precotti. Vorrei sapere, per esempio, quanti rappresentanti del Ghana sono sbarcati in Italia. Il liberismo ne ha stravolto l’agricoltura. Niente grano e patate dolci ma soia e canna da zucchero per etanolo: le automobili lo pretendono. La popolazione del Ghana non cresce e di figli ne fanno tanti, ma i figli se ne vanno subito: denutrizione e ancora malaria. Metà finisce in ospedali che sembrano lazzaretti. Chi arriva a 5 anni è a prova di pallottola. Diouf, presidente della Fao (15 mila dollari al mese), e Ban-Ki moon, segretario Onu, da qualche giorno digiunano per protestare contro la disattenzione. Alla vigilia del volo per Roma si sono improvvisamente accorti che i grandi paesi hanno tagliato la cooperazione. Le promesse sono rimaste parole. Anche il sindaco Alemanno accende il Campidoglio e non mangia più. Non è male condividere (per un attimo) la fame degli altri sapendo che nel frigo c’è ogni ben di Dio. L’Italia di Berlusconi ha ridotto a niente la così detta cooperazione: milioni dirottati alle truppe in Afghanistan. E si parla di riformare le Nazioni Unite. A partire dai costi dell’organizzazione, speriamo. Le spese interne di Fao, Unicef e Acnur (che assiste milioni di profughi), come ogni altra struttura del Palazzo di Vetro, assorbono il 70 per cento delle disponibilità e delle offerte raccolte nelle campagne “aiutiamo i bambini affamati”. La rete Internet ci avvolge e le teleconferenze sono entrate nelle abitudini di manager e diplomazia, perché non approfittarne per risparmiare i milioni bruciati nei teatrini inutili come quello di Roma? La diseguaglianza si sta trasformando in una forma occulta di terrorismo, dall’alto al basso e i diseredati arrivano e reagiscono. Chissà perché così impazienti.

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