Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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lunedì 5 ottobre 2009
Edizione speciale, la voce dei 300 mila di Micaela Bongi
(Vignetta tratta dal Corriere.it)
Piazza del Popolo stracolma per tutto il pomeriggio contro il controllo dell’informazione. Contro Papi e le sue censure, e contro le ingerenze di ogni colore. E anche per chiedere agli stessi giornalisti di reagire alle pressioni e al torpore. E a sera si balla
Sono solo sessantamila (lo dice la questura). E allora sarà un’illusione ottica o una formidalbile manipolazione digitale degli organizzatori, perché in Piazza del Popolo si dovrebbe stare molto larghi e invece non ci si muove, un’ora prima dell’appuntamento è già pienone, moltissime persone sono accalcate nel tridente formato da via del Babuino, via del Corso e via di Ripetta, tante altre affacciate dalla terrazza del Pincio, arrampicate sui parapetti, assiepate sulle scalinate e giù giù fino oltre la Porta del Popolo. Dopo il minuto di silenzio chiesto per le vittime di Messina dal presidente della Fnsi Franco Siddi, «siamo trecentomila», dice dal palco Andrea Vianello spiegando di voler essere realistico perché ormai quando c’è una manifestazione si sparano milioni come se piovesse. E allora, visto che si sta qui per la libertà di informazione e il diritto a essere informati, ristabilire le proporzioni non è un dettaglio.
Tanti piddini, cigiellini, dipietristi, certo. Ma è una piazza davvero eterogenea, per niente «intruppata», allegra, creativa (papi è una formidabile fonte di ispirazione per molti cartelli e striscioni), con tantissimi giovani e ragazzini. C’è chi ha Repubblica sotto il braccio o fa la fila sotto il grande gazebo del quotidiano sistemato dietro l’obelisco, chi ha la maglietta e il cappellino dell’Unità (sotto lo stend Concita De Gregorio firma autografi), tanti «gattocomunisti sempre» in arancione. Ci sono i santoriani, i telekabulusti, i legalitari spinti. Ma non la casta. Il partito Rai o quello di Repubblica. O quello delle manette che - come piace tanto raccontare a destra - ormai racchiuderebbe la sinistra intera. E lo specchio deformante del premier tira qualche brutto scherzo anche allo stesso Cavaliere, se nel lunghissimo elenco di adesioni che il «conduttore» Vianello legge dal palco tra un intervento e l’altro, compaiono anche i comitati di redazione di Mediaset e la redazione di Striscia la notizia. E poi ci sono i cdr di Sky tg24 (che manda la manifestazione in diretta), de La7, di Avvenire, Sat 2000 e In blu, i cui giornalisti sono in piazza per «difendere la libertà di stampa che non può esistere né chiamarsi tale se non è esercitata con responsabilità» denunciando la «crescente tendenza dei giornalisti a farsi strumento di gruppi di potere».
Tema, quest’ultimo, che non è tirato fuori solo dai media dei vescovi ultimamente alla ribalta per il caso Boffo. Viene riproposto a più riprese dal palco, e la platea risponde convinta, con applausi, chiedendo insomma che gli stessi giornalisti si mettano in discussione. Si manifesta contro Berlusconi, le sue censure e il suo strapotere mediatico, si manifesta contro il governo e i suoi provvedimenti, si manifesta anche perché non si possa dire che ci sono pochi giornalisti che fanno i "martiri", ma perché ce ne siano tanti che reagiscono e «fanno le domande». E perché anche il centrosinistra compia il famoso passo indietro, ché come dice il segretario dell’Usigrai Carlo Verna, «la Rai è ostaggio degli interessi dei partiti da sempre». E, come dice la rappresentante dei precari della scuola intervenendo dal palco prima di raggiungere il ministero dell’istruzione di viale Trastevere, «chiediamo ai giornalisti di rappresentare l’Italia nella sua realtà». E chiede pure, «per manifesta incompetenza, le dimissioni del ministro Gelmini». Tripudio. Applausometro a mille, più che per Santoro e Travaglio. E applausi anche al costituzionalista Onida quando dice che «il cittadino meno informato, scorrettamente informato, è meno libero».
C’è poi il grande striscione dei «Farabutti di Raitre» e il Tg3 in forze e il consigliere d’amministrazione Nino Rizzo Nervo. C’è il Movimento emergenza cultura, spettacolo, lavoro e c’è un improvvisato P.P.L (Pane, pace, lavoro, come chiede un cartello). C’è una delegazione dei lavoratori dell’Innse. C’è chi se la prende
con Massimo D’Alema che si intrattiene divertito dietro al palco («D’Alema: 1° chiedi scusa, 2° dimettiti», invoca la scritta) e chi sostiene a grandi lettere: «Le escort non fanno carriera, le mignotte sì». Chi segnala: «Belpietro, tu dirigi Libero perché libero non sei». Si aggira un finto Gabibbo, i musicisti della federazione delle scuole di samba vengono invece bloccati su via di Ripetta all’ingresso della piazza perché con le loro percussioni non si sente più niente dal palco, si giustifica il servizio d’ordine. Ma si fa sera e nella piazza ancora piena si balla comunque, con Enrico Capuano che suona De Andrè. I "sessantamila" vanno a casa e in molti si chiedono se, visto che i media sono tutti in mano alla sinistra, il Tg1 parlerà di loro. Sorpresa, il Tg1 ne parla. Molto male.
Fonte articolo
Piazza del Popolo stracolma per tutto il pomeriggio contro il controllo dell’informazione. Contro Papi e le sue censure, e contro le ingerenze di ogni colore. E anche per chiedere agli stessi giornalisti di reagire alle pressioni e al torpore. E a sera si balla
Sono solo sessantamila (lo dice la questura). E allora sarà un’illusione ottica o una formidalbile manipolazione digitale degli organizzatori, perché in Piazza del Popolo si dovrebbe stare molto larghi e invece non ci si muove, un’ora prima dell’appuntamento è già pienone, moltissime persone sono accalcate nel tridente formato da via del Babuino, via del Corso e via di Ripetta, tante altre affacciate dalla terrazza del Pincio, arrampicate sui parapetti, assiepate sulle scalinate e giù giù fino oltre la Porta del Popolo. Dopo il minuto di silenzio chiesto per le vittime di Messina dal presidente della Fnsi Franco Siddi, «siamo trecentomila», dice dal palco Andrea Vianello spiegando di voler essere realistico perché ormai quando c’è una manifestazione si sparano milioni come se piovesse. E allora, visto che si sta qui per la libertà di informazione e il diritto a essere informati, ristabilire le proporzioni non è un dettaglio.
Tanti piddini, cigiellini, dipietristi, certo. Ma è una piazza davvero eterogenea, per niente «intruppata», allegra, creativa (papi è una formidabile fonte di ispirazione per molti cartelli e striscioni), con tantissimi giovani e ragazzini. C’è chi ha Repubblica sotto il braccio o fa la fila sotto il grande gazebo del quotidiano sistemato dietro l’obelisco, chi ha la maglietta e il cappellino dell’Unità (sotto lo stend Concita De Gregorio firma autografi), tanti «gattocomunisti sempre» in arancione. Ci sono i santoriani, i telekabulusti, i legalitari spinti. Ma non la casta. Il partito Rai o quello di Repubblica. O quello delle manette che - come piace tanto raccontare a destra - ormai racchiuderebbe la sinistra intera. E lo specchio deformante del premier tira qualche brutto scherzo anche allo stesso Cavaliere, se nel lunghissimo elenco di adesioni che il «conduttore» Vianello legge dal palco tra un intervento e l’altro, compaiono anche i comitati di redazione di Mediaset e la redazione di Striscia la notizia. E poi ci sono i cdr di Sky tg24 (che manda la manifestazione in diretta), de La7, di Avvenire, Sat 2000 e In blu, i cui giornalisti sono in piazza per «difendere la libertà di stampa che non può esistere né chiamarsi tale se non è esercitata con responsabilità» denunciando la «crescente tendenza dei giornalisti a farsi strumento di gruppi di potere».
Tema, quest’ultimo, che non è tirato fuori solo dai media dei vescovi ultimamente alla ribalta per il caso Boffo. Viene riproposto a più riprese dal palco, e la platea risponde convinta, con applausi, chiedendo insomma che gli stessi giornalisti si mettano in discussione. Si manifesta contro Berlusconi, le sue censure e il suo strapotere mediatico, si manifesta contro il governo e i suoi provvedimenti, si manifesta anche perché non si possa dire che ci sono pochi giornalisti che fanno i "martiri", ma perché ce ne siano tanti che reagiscono e «fanno le domande». E perché anche il centrosinistra compia il famoso passo indietro, ché come dice il segretario dell’Usigrai Carlo Verna, «la Rai è ostaggio degli interessi dei partiti da sempre». E, come dice la rappresentante dei precari della scuola intervenendo dal palco prima di raggiungere il ministero dell’istruzione di viale Trastevere, «chiediamo ai giornalisti di rappresentare l’Italia nella sua realtà». E chiede pure, «per manifesta incompetenza, le dimissioni del ministro Gelmini». Tripudio. Applausometro a mille, più che per Santoro e Travaglio. E applausi anche al costituzionalista Onida quando dice che «il cittadino meno informato, scorrettamente informato, è meno libero».
C’è poi il grande striscione dei «Farabutti di Raitre» e il Tg3 in forze e il consigliere d’amministrazione Nino Rizzo Nervo. C’è il Movimento emergenza cultura, spettacolo, lavoro e c’è un improvvisato P.P.L (Pane, pace, lavoro, come chiede un cartello). C’è una delegazione dei lavoratori dell’Innse. C’è chi se la prende
con Massimo D’Alema che si intrattiene divertito dietro al palco («D’Alema: 1° chiedi scusa, 2° dimettiti», invoca la scritta) e chi sostiene a grandi lettere: «Le escort non fanno carriera, le mignotte sì». Chi segnala: «Belpietro, tu dirigi Libero perché libero non sei». Si aggira un finto Gabibbo, i musicisti della federazione delle scuole di samba vengono invece bloccati su via di Ripetta all’ingresso della piazza perché con le loro percussioni non si sente più niente dal palco, si giustifica il servizio d’ordine. Ma si fa sera e nella piazza ancora piena si balla comunque, con Enrico Capuano che suona De Andrè. I "sessantamila" vanno a casa e in molti si chiedono se, visto che i media sono tutti in mano alla sinistra, il Tg1 parlerà di loro. Sorpresa, il Tg1 ne parla. Molto male.
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