
Il secondo filo rosso è la miopia di chi al contrario non distingue l’importanza, metaforica e letterale, di questo cortocircuito tra politica e corpo, tra il cosiddetto pubblico e il cosiddetto privato. Anni passati a citare Foucault e a discutere di biopolitica non sembrano aver insegnato molto agli amici intellettuali di sinistra che, negli ultimi mesi, hanno spesso arricciato il naso lamentando che non si doveva parlare di queste cose, e che discuterne equivaleva a fare del volgare gossip. Le saghe erotiche del nostro capo di governo non c’entrano nulla con la politica, era il loro stizzito commento. Non comprendendo che proprio queste imbarazzanti saghe, con la devastante ideologia maschilista che esse sottintendevano, e con la reazione tutt’altro che negativa, anzi solidale e compiaciuta che esse provocavano in gran parte del paese, erano il segno tangibile di un clima. Lo stesso clima che, tra le altre cose, impedisce a questo paese di riconoscere diritti elementari ai propri cittadini omosessuali, e che anzi provoca esplosioni cicliche di omofobia.
Questo peso fatale del corpo e della sessualità sul piano politico, e questo imbarazzo a riconoscerne le implicazioni, possono dirci più di tante dissertazioni sociologiche sull’infinita crisi italiana. Si tende a pensare che gli italiani abbiano perso identità, mentre il problema potrebbe essere persino più fisico e concreto: gli italiani hanno perso la coscienza del loro stesso corpo. Che gran parte di una nazione si identifichi nel corpo ormai poco atletico, chirurgicamente modificato, imbellettato di un signore 73enne non può che fornire un segno sinistro sullo smarrimento di tale nazione.
Il corpo con la sua consapevolezza gioiosa e insieme dolorosa, la sessualità, le implicazioni della dimensione fisica dell’esistenza, temi in bilico tra il piano intimo e quello politico del vivere, hanno trovato spesso, in Italia, come unica risposta culturale la rimozione, l’imbarazzo, o uno snobistico disinteresse. L’imbarazzo del corpo, questo non saper bene cosa fare del proprio corpo, non è solo un retaggio cattolico ma anche di certa sinistra, di quella sinistra astratta e troppo intellettuale e spesso irrisolta, sul piano fisico, quanto un ragazzino dell’oratorio. E non sarà un caso, infine, che femminismo e movimento omosessuale, gli unici due movimenti che abbiano messo al centro delle loro battaglie il corpo, siano oggi movimenti rimossi, emarginati, bersagliati.
In un simile imbarazzato vuoto, le nuove destre non hanno faticato a impadronirsi del corpo, dell’immaginario che sta intorno a esso e del suo universo simbolico. Lo hanno fatto nel loro modo distorto, sciovinista, grottesco. Eppure lo hanno fatto. Da una parte, imponendo il modello di un corpo esibito nei suoi aspetti più narcisisti e mercificabili: fuori e dentro la televisione un’orda di corpi lucidi, patinati, anonimi, ridotti a pura prestazione anatomica, interscambiabili tra loro proprio come i protagonisti di un reality show. Dall’altra parte, imponendo un nuovo codice corporeo in politica: ecco che il corpo del politico populista si fa rampante, bassamente allusivo, colmo di una volgarità inaudita eppure, ahinoi, vivo.
L’antico inno leghista alla durezza anatomica era più di una battuta goliardica. Era il richiamo a un nuovo ordine di valori corporei. Di quello slogan, il nostro attempato capo di governo sembra aver assorbito e aggiornato lo spirito. Un don Giovanni ultrasettantenne, perfetta sintesi di brama sessuale e senilità, allusione vivente alla coppia eros-morte, ci governa e ci rappresenta. Alla faccia di tutti coloro che vorrebbero, semplicemente, vivere in pace con il loro corpo.
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