Libertà di pensiero è la "capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro" (Immanuel Kant)
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martedì 12 luglio 2011
E io pago di Marco Travaglio
L’altra sera, all’ingresso del mio spettacolo a Carpi, alcuni giovani del Pdl (si fanno chiamare Giovane Italia, per la gioia – immagino – di Giuseppe Mazzini) distribuivano un volantino intitolato “Una carriera travagliata”, con la mia foto segnaletica e il riassunto, un po’ fantasioso un po’ vero, delle cause civili che ho perso in tribunale. Ebbene sì, lo confesso: dopo 28 anni di carriera, 15-20 mila articoli, 150 trasmissioni tv, 2 mila conferenze e 30 libri, ho perso alcune cause civili. La prima fu con Previti: avevo scritto che era indagato, e lo era due volte, ma l’avvocato dell’Indipendente (giornale nel frattempo fallito), smise di difendermi e non portò le carte al giudice, così fui condannato in primo grado a pagare 70 milioni di lire al noto gentiluomo, nel frattempo condannato per corruzione giudiziaria. Nessun “garantista” di destra insorse contro la barbarie di far pagare un soccombente dopo il primo grado, prima dell’appello e della Cassazione. Chiesi la sospensione dell’immediata esecutorietà della sentenza, ma il Tribunale di Roma rispose picche. E Previti, siccome non avevo i 70 milioni sull’unghia, mi pignorò un quinto dello stipendio. Un’altra volta, in un libro, Gomez e io incappammo in un caso di omonimia, attribuendo al deputato forzista Giuseppe Fallica una condanna che invece riguardava un altro Giuseppe Fallica, funzionario di Publitalia: Fallica ci fece causa e giustamente la vinse. Un’altra la persi col giudice Verde: l’avevo definito “più volte condannato” per via di una condanna in primo grado e una in appello, ma il giudice interpretò la frase nel senso di due condanne definitive. Due volte persi contro Confalonieri: la prima per aver scritto che doveva vergognarsi di accusare la sinistra di voler espropriare la Fininvest (figuriamoci), ma la mia espressione fu giudicata troppo violenta; la seconda per aver scritto che era coimputato con B. al processo Mediaset, ma la mia frase fu ritenuta insufficiente a far capire che era accusato di reati diversi da quelli di B. L’anno scorso ho dovuto risarcire Schifani con 16 mila euro per aver detto in tv, scherzando, che il suo successore potrebbe essere una muffa o un lombrico. Purtroppo il giudice non capì la battuta. Pazienza. Giuste o sbagliate che siano, ho rispettato le sentenze senza strillare alle toghe azzurre e, come si fa in questi casi, ho pagato i risarcimenti dopo il primo grado e poi li ho appellati. Mai, dico mai, ho sentito qualcuno del Pdl sostenere la necessità di una legge che blocchi i risarcimenti civili fino a condanna definitiva. Almeno fino a sabato, quando B. & C. sono stati condannati a risarcire De Benedetti con 560 milioni, non per un articolo o una battuta, ma per avergli fregato la Mondadori corrompendo un giudice e comprandosi una sentenza. Questi sporcaccioni, quando devono incassare, lo fanno subito; quando invece devono pagare, non lo fanno mai. E pretendono di avere il diritto dalla loro parte. E, visto che la legge non collima coi loro sporchi interessi, vogliono cambiarla. Ora, non contenti di aver ottenuto ciò che noi privati cittadini (e molti di noi giornalisti) ci vediamo regolarmente negare – la sospensione della provvisoria esecutorietà delle sentenze di primo grado – non vogliono pagare nemmeno dopo aver perso in appello. La causa Fallica è istruttiva: in primo grado Gomez e io veniamo condannati a versare al deputato circa 55 mila euro e li versiamo tutti, uno sull’altro. Nel 2009 l’appello riduce l’importo a 15 mila. Ergo l’on. Fallica deve restituirci 40 mila euro. Da due anni attendiamo che lo faccia, ma l’“onorevole” s’è volatilizzato: né lui né i suoi legali rispondono ai solleciti. Ecco: in attesa di varare il nuovo Frodo Mondadori, incentrato sul principio che non si paga più nemmeno dopo l’appello, non è che B., Ghedini e tutta la corte han voglia di acciuffare questo gentiluomo e rammentargli di saldare quel debituccio? Sentiti ringraziamenti.
fonte articolo e vignetta 'Il Fatto Quotidiano'
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